La storia? “una guerra illustre contro il tempo”. Ogni storia che ricordiamo e raccontiamo partecipa a questa immensa battaglia che cerca di impedire allo scorrere del tempo di divorare ogni cosa e di nascondere tutto sotto la fitta nebbia dell’oblio. Spesso abbiamo bisogno di fare lunghe ricerche, di interrogare i testimoni, visitare i luoghi per capire e raccontare una storia; altre volte è la storia stessa che ci viene incontro, si fa trovare da noi, si piazza nel mezzo della nostra via, come una persona sfrontata che ama farsi vedere.
La storia ci raggiunge in tanti modi, attira la nostra attenzione nelle maniere più disparate, quella che vi racconterò è rimasta nascosta per tanti decenni tra le carte dell’archivio di Stato di Milano, da dove un giorno è riemerso il Foglio Matricolare del nonno, che è morto troppo presto, tanti anni fa. Il documento ingiallito del Regio Esercito anzitutto ci racconta delle cose che già sapevamo: Giovanni Zanoni, Classe 1923, nato a Turano Lodigiano, di professione meccanico; esaminandolo bene però troviamo tanti particolari sconosciuti: chiamato alle armi e aggregato al sesto reggimento bersaglieri l’11 gennaio 1943. I primi giorni dell’addestramento militare non devono esser stati facili. Il 21 gennaio infatti il nonno si becca tre giorni di punizione semplice perché “malgrado la precisa istruzione parlava e gesticolava nella posizione di attenti”. Mi immagino la scena: il comandante che esalta le glorie del reggimento, vera unità di elite, sparpagliata su tutti i fronti della folle guerra, e il nonno che gli fa il verso irridendo alla falsa retorica, o più semplicemente sussurra una cosa al commilitone che gli sta a fianco. Più interessante è ciò che avviene qualche mese più tardi: il primo maggio 1943. I giorni di punizione queta volta sono cinque: da passare in cella di rigore. Il motivo: “interrogato circa una mancanza commessa da un bersagliere da lui comandato, non asseriva la verità”. Cosa sarà successo? Anche qui la fantasia ci soccorre: sono giorni difficili, la guerra non fa che riservare umilianti sconfitte, la fame nelle città prese di mira dai bombardamenti è nera, un’ondata di scioperi scuote il nord Italia. Il nonno comanda un gruppo di soldati, uno di questi commette un errore, il nonno lo copre, non lo denuncia. Non asseriva la verità. Ecco la vera grandezza di chi comanda: coprire gli altri e pagare di persona. Rinunciare alla verità dei fatti per aderire alla verità dell’amore.
La guerra va avanti in maniera sempre più disastrosa; il 4 agosto 1943 il nonno inizia il corso da marconista presso il terzo reggimento carristi; un mese più tardi, la mattina del 9 settembre 1943, vengono tutti radunati nel grande piazzale della caserma, caricati sui treni e inviati in Germania, nel campo di concentramento VI/D di Dortmund. Inizia la stregua resistenza degli Internati Militari Italiani: il nonno, come centinaia di migliaia di soldati italiani si trincerò dietro un duplice rifiuto: anzitutto non volle aderire al nuovo esercito che Mussolini andava armando nelle regioni del nord; poi respinse le offerte di collaborazione che vennero fatte dai nazisti. Non possiamo immaginare quanto dovette soffrire per difendere questi incrollabili “no”. Sappiamo soltanto che quando venne catalogato come lavoratore civile di un altoforno nella cittadina di Welper, non aderì volontariamente, ma fu inquadrato in maniera forzosa dalle autorità del Reich che si resero conto di non poter convincere i soldati italiani a lavorare spontaneamente per loro.
Mi immagino il primo natale di prigionia, quello del 1943. Ci viene in aiuto il diario di Guareschi, anche lui internato militare, che la notte di Natale del 1943, sulla parete della fredda baracca disegnò la letterina che il figlio gli avrebbe fatto trovare sotto il piatto nella cena della vigilia. Nella baracca trovò posto un piccolo alberello e il presepe avvolto dalla bandiera del reggimento, per cena una pallida minestra di cavoli. Durante la notte il presepe venne messo nel freddo letto per dare almeno un’impressione di calore e tenerezza.
A centinaia di chilometri di distanza, anche il Papa è prigioniero: Pio XII è rimasto solo in una Roma occupata dai nazisti. Le stanze dell’appartamento apostolico sono gelide, per espressa volontà del Papa che vuole in tutto essere solidale coi romani nel loro inverno più lungo. Il suo augurio natalizio si rivolge a tutta l’umanità, costretta “in una cupa atmosfera di morte e di odio”, ma “in mezzo a questa notte tenebrosa risplende la luce dell’astro di Betlemme che illumina il cammino verso il Principe di pace”. La voce del vicario di Cristo vuole raggiungere i delusi e i desolati senza speranza. Se la morte ci assedia, ricorda il papa, la fede ci assicura che a chi crede in Cristo la “vita non è tolta ma trasformata”; in mezzo alle macerie della guerra il Papa intravede la possibilità della trasformazione e annuncia un nuovo inizio: “Vedete e meditate come in quella grotta abbandonata, esposta al freddo e ai venti, Cristo partecipi della vostra povertà e della vostra miseria. All’opera dunque e al lavoro, diletti figli! Serrate le vostre file. Non cada il vostro coraggio; non rimanete inerti in mezzo alle rovine. Uscitene fuori alla ricostruzione di un nuovo mondo sociale per Cristo”.
Sarà giunta questa voce al campo di Dortmund? Sarebbe stata ascoltata? Nessuno può dirlo. Mi piace pensare che almeno un eco lontana abbia in qualche modo rasserenato il cuore del nonno e dei suoi compagni; magari nel freddo della notte qualcuno avrà intonato un canto natalizio imparato da bambini. Gli alpini del campo di Leopoli, in quella stessa notte, innalzarono il grande coro del Va pensiero, considerato il nuovo inno nazionale di una patria disperata. Era impossibile cantare l’inno di Mameli che parlava di vittorie e trionfi. Più indicato era il grande canto degli esuli che ricordano una patria perduta e chiedono di avere la forza di soffrire con dignità, fu proprio il coro del Va pensiero il canto preferito dagli internati militari italiani, quello che ha scandito la loro attesa, sostenuto la loro speranza e difeso la loro dignità.
In questo natale del 2021, nel quale forse il nostro benessere è sfiorato da qualche piccola privazione, pensiamo al natale lontano durante il quale il nonno, assieme a centinaia di miglia di soldati italiani, si rifiutò di cedere alle lusinghe del nemico e nel mezzo del gelido inverno tedesco tenne acceso l’onore dell’Italia.