L’antico Inno Te Deum

Il solenne inno Te Deum è uno dei gioielli più preziosi che la Chiesa conserva nel
tesoro della sua tradizione. Si tratta di un canto molto antico che, lungo la sua storia, è stato
attribuito a vari autori: nel medioevo addirittura ai santi Ambrogio e Agostino. L’ignoto autore
ha consegnato alla Chiesa uno splendido testo che da secoli offre a tutti le parole per cantare
la gioia; è come un grido di libertà con cui il giubilo del trionfo si esprime dopo l’angustia
dell’attesa. Per questo motivo il Te Deum ha scandito momenti storici importantissimi: vittorie
inaspettate, incoronazioni regali, il ritorno dei reduci, la fine di una pandemia, la salvezza in
una calamità naturale, il rifiorire della libertà. Ogni domenica la Chiesa lo proclama per
celebrare la vittoria più vera: quella della Pasqua di Cristo e alla fine dell’anno ci invita a
cantarlo per ringraziare, in colpo solo, di tutti i doni ricevuti nel tempo trascorso e per guardare
con speranza al nuovo anno che si apre.


Ma cosa dice questo canto?


È anzitutto una solenne proclamazione della vita di Dio: il Padre eterno è lodato dagli
angeli e da tutte le creature celesti che non cessano di proclamare la triplice santità: “Santo,
Santo, Santo, il Signore Dio dell’universo”. Ad essi si uniscono i santi, gli apostoli, i profeti e,
sulla terra, la Chiesa tutta che “soffre, combatte e prega”: tutti assieme cantano la gloria del
Padre “di immensa maestà”, del “vero e Unico Figlio” e dello Spirito Santo Consolatore. Dopo
questa solenne introduzione l’inno diventa una grande preghiera rivolta al Figlio, che per
liberare l’uomo, si è degnato di nascere dalla Vergine Madre. Egli, “spezzato il pungiglione
della morte”, ne è divenuto il vincitore e ha spalancato le porte del cielo; a lui chiediamo di
aiutarci e benedirci, a lui innalziamo questa supplica: “salva il tuo popolo!”. L’invocazione poi si
fa più personale: “donaci Signore di benedirti tutti i giorni della nostra vita, degnati di
custodirci, almeno oggi, senza peccato; soprattutto donaci la tua misericordia, perché in essa
noi abbiamo creduto e sperato”. Il canto si conclude con una invocazione, che nell’originale
versione latina è al singolare:” in te Domine speravi non confundar in eternum – in te Signore
ho sperato, mai sarò deluso!” Mi ha sempre colpito che al termine di questo grande canto
corale, si levi una voce al singolare che appare quasi flebile al confronto del possente coro
delle altre strofe. Forse questo contrasto riesce ad esprimere bene il dono di grazia che il Te
Deum vuole farci: imprimere nel nostro cuore la certezza che chi spera in Dio non rimane
deluso!