Rimettendo a posto il presepe

Terminati i giorni del Natale, tutti ci affrettiamo a togliere gli addobbi e i segni natalizi ea riporre i nostri presepi in attesa del prossimo dicembre.

È una occupazione che certamente ci rattrista, come tutte quelle che ci rinfacciano il passare del tempo, ma anche è fonte di consolazione: sappiamo infatti, nel nostro più profondo, che le cose veramente tristi sono gli anacronismi che ci impediscono di vivere pienamente il presente.

Rimettendo a posto il presepe, però, fermiamoci un attimo, e conserviamo ancora per qualche istante, tra le nostre mani, la statuina di un pastore, quella di un magio e soprattutto la culla col bimbo di Betlemme.

Ho davanti a me il pastore che ho scelto: in realtà è una statua che ne raffigura due: uno anziano, piegato su di un bastone e curvato dalla vita, che accompagna dolcemente un bimbo con in mano una piccola cesta di frutta.

L’artista li ha rappresentati in cammino, ma lentamente, verso la grotta di Betlemme. Forse sono gli ultimi, tutti gli altri sono già corsi a contemplare il grande segno di luce che li ha sorpresi.

L’uomo anziano non avrebbe mai immaginato di vivere una notte così, da sempre sognava la libertà e aspettava una novità, ma non pensava sarebbe giunta, proprio a lui, la notizia della nascita dell’atteso di tutte le genti.

È sereno perché ciò in cui ha sperato non lo ha deluso, anzi sta vedendo qualcosa che supera di gran lunga le sue aspettative; egli spinge con amore il piccolo, forse un nipote: quel bimbo non lo sa, ciò che vede quella notte forse gli appare come un immenso circo; non lo sa ma è appena diventato libero! Non è più schiavo del disprezzo, della paura e del destino!

Quel bimbo è la prima generazione dei liberati.

Non lo sa e tutto quel che può fare è trovare qualcosa da donare: segno profetico che darà forma a tutta quanta la sua esistenza: solo chi si scopre libero si può donare.

Prendo in mano poi il Magio, calvo, anziano, inginocchiato a terra, con le mani giunte in adorazione. Davanti a lui, posate a terra, un libro e la sua corona.

Dopo un lungo cammino finalmente è arrivato dal bambino: il libro posato a terra rappresenta la Sapienza che ha accumulato nella vita, le istruzioni per l’uso dell’esistenza.

Tutto conduceva a quel bambino. Tutto lo ha portato a lui. Nulla è stato sprecato, tutto è ora rilegato con amore e posato ai piedi di quel bimbo. La corona posata a terra rappresenta invece un gesto di infinito realismo: il Magio infatti scopre solo adesso di non esser re, forse si rende conto che considerarsi re è stato come vivere in una continua, patetica, parodia.

Non è re ma è molto di più: è un figlio amato, per questo si gode in intimità e silenzio questa incredibile scoperta.

Infine lui: il bimbo di Betlemme, adagiato nella culla. Si racconta che Francesco di Assisi ogni volta che lo nominava sperimentasse una incredibile dolcezza, come se sentisse, parlando di lui, il gusto del miele nel palato.

È un bimbo, in nulla diverso dagli altri, eppure speciale; un caro amico che è passato nei giorni scorsi a veder il nostro presepe vivente, abituato a sfrecciare a mille chilometri all’ora sui velivoli più tecnologici, mi ha scritto: “mi sono trovato a contemplare quel bambino per tre minuti di fila come se nonne avessi mai visto uno”.

Contempliamo anche noi questo bimbo, diamogli un bacio e facciamo ora un atto di incredibile stupidità: proviamo a parlargli: “anche se balbettiamo tu ci capisci: bimbo di Betlemme; fa che, guardandoti, possiamo credere che tutto è sorretto da un amore invisibile. Fa’ che, nelle amarezze della vita, possiamo gustare la dolcezza della tua presenza. Fa’ che possiamo sempre guardare a te senza timore e avere il coraggio, sempre di nuovo, di chinarci su ciò che è piccolo, fa’ che possiamo trovarti nella mangiatoia che è la Chiesa, luogo dove tutti possono finalmente arrivare e sentirsi a casa. Apri un giorno a tutti noi la porta del paradiso”.

Don Francesco